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venerdì 4 marzo 2016

IV Domenica di Quaresima 6 Marzo 2016



<<Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te>>.

 (Letture bibliche: Gs 5, 9.10-12; Sal 33; 2Cor 5, 17-21; Lc 15, 1-3.11-32)



Questa domenica si riuniscono attorno a Gesù scribi e farisei che mormorano sul suo atteggiamento con i peccatori. Pur essendo dei maestri e degli esperti della legge, anche loro hanno bisogno di metafore, di esempi concreti ritagliati dall’esperienza storica, personale ed umana per poter comprendere le cose di Dio. 

Così Gesù passa a raccontare la storia di una famiglia, di un padre e dei suoi due figli.

Tre verbi per sintetizzare la meditazione: partire, rientrare ed essere

Il figlio parte per investire la sua vita, per diventare adulto, responsabile delle sue scelte. Nella partenza però, vissuta come rinnegamento del padre, della sua storia personale, farà esperienza della perdita del proprio valore, della propria ricchezza interiore, della propria dignità di figlio. 


Allora rientra in se stesso e ritorna a casa: è ormai adulto, capace di scegliere in base a ciò che riconosce come buono: la giustizia di suo padre e l’amore misericordioso che riserva ai suoi figli. «Figlio, tu sei sempre con me» è la consolazione del Padre per il figlio maggiore, rimasto in casa, con un atteggiamento di obbedienza vissuta però nella solitudine del cuore e della mente che non l’ha fatto essere libero. 

Siamo chiamati, sull’esempio di questa vicenda familiare, a riscoprirci figli liberi e amati dal Padre, nella comunione fraterna e nell’amicizia dove la morte si trasforma in vita e ciò che era perduto si ritrova moltiplicato ed elevato alla centesima potenza.


Che cosa dicevamo la settimana scorsa a proposito del “tornare a casa”?

La liturgia di oggi ci racconta proprio questo: la dinamica del ritorno, l’atteggiamento nostro, quello del Padre e quello di chi (e possiamo essere anche noi) invece pensa di non essere mai partito quando in realtà è lontanissimo con il cuore.

Questa domenica ha un sapore diverso dalle altre domeniche di Quaresima, infatti ha un nome preciso: Domenica LAETARE che, in latino, vuol dire “rallegrati!”
In tutta la Chiesa latina questa domenica assume un ruolo importante: è una manifestazione di gioia per il cammino compiuto, un incitamento ad arrivare alla meta.

E’ come quando sei in bicicletta e stai facendo una salita dura e vedi sul ciglio della strada qualcuno che ti incita e ti dice: “Continua così che tra poco si scollina” e ti da una spinta…e corre con te alcuni metri…per darti coraggio.
E non importa se quella salita l’hai iniziata da poco (magari perché hai perso tempo prima): tu ci credi, ti senti meglio, non ti senti più solo con la strada e la fatica e le gambe non fanno più così male.

Ecco: questa è la domenica LAETARE.
Una domenica in cui la Chiesa ti dice: “Ecco i frutti che ti aspettano, sono vicini, devi solo stendere la mano”.

Un po’ come il popolo di Israele che, arrivato finalmente nella terra promessa ad Abramo non ha più bisogno della manna, ma può stendere la mano e mangiare dei frutti dei campi. Quella stabilità e sicurezza che cercavano, che per 40 anni hanno desiderato e coltivato in quel rapporto con Dio, in quella “verità che vi farà liberi”, ecco che ora si può toccare.

Non importa ciò che hai fatto prima.

Certo: potrai chiederti se hai dato il massimo ed è cosa buona e giusta perché Dio Padre non ci ha fatti per la mediocrità, ma è anche vero che tutto si gioca sulla tua decisione di essere figlio e vivere la vita del Padre. Tutto il resto viene di conseguenza.

Basta rileggere le parole che il Padre dice al figlio maggiore della parabola:” 

Bisognava rallegrarsi perché era perduto ed ora è stato ritrovato

Certo se non partiva era meglio...se tornava prima di ridursi peggio delle bestie era meglio...tutto vero e tutto giusto. Ma ora è a casa. Possiamo stare insieme, parlare, anche litigare!

Al Padre sta bene anche se gli rivolgiamo parole di rabbia e risentimento, sarà vivendo con Lui, nella Sua casa che è la Chiesa che troveremo un senso a tutto questo.

"Era morto ed è tornato in vita”

L'abbiamo detto la volta scorsa: la solitudine, la sterilità è morte.
In cima alla salita c'è la Croce di Cristo: colui che ha preso su di sè tutte le nostre quotidiani morti, tutto ciò che ci ha condannato alla sterilità e solitudine.

Stringiamo i denti allora, mettiamo il rapporto agile (vabbè..qui mi capiscono in pochi), quello con cui ci sentiamo più a nostro agio, mettiamoci in gruppo e affrontiamo l'ultimo strappo insieme.

Affrontiamo la vita con Passione, contempliamo la morte di Cristo per poi partecipare alla sua Resurrezione che, come dice San Paolo fa di noi "nuove creature"



Le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove.


Con questa speranza (che è già certezza), vi abbraccio tutti




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