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sabato 14 maggio 2016

Domenica di Pentecoste 15 Maggio 2016


«Vieni, Santo Spirito, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore»

(Letture bibliche: At 2, 1-11; Sal 103; Rm 8, 8-17; Gv 14, 15-16. 23-26)


Durante il tempo pasquale la liturgia ci ha fatto meditare sulla presenza del Risorto nella Chiesa, sul dono dello Spirito, sulla Chiesa in quanto segno e annuncio della vita nuova nata dalla Pasqua del Signore e in questa solennità di Pentecoste, finalmente, ci presenta questa nuova realtà della Chiesa, frutto della Risurrezione e del dono dello Spirito.

L’evento narrato nella prima lettura è noto come il “battesimo nello Spirito” già preannunciato da Gesù ai suoi discepoli, con il quale illumina la comunità sul mistero di Cristo, Messia, Signore e Figlio di Dio; fa comprendere la risurrezione come il compimento dei progetti di salvezza di Dio per tutto il mondo; spinge la Chiesa ad annunciarlo in tutte le lingue e in ogni circostanza, senza temere persecuzioni e morte. 

Ogni comunità è chiamata a collaborare con lo Spirito per rinnovare il mondo e perciò la Pentecoste non è finita; essa continua nella situazione in cui vive la Chiesa; tutta la vita dei cristiani si svolge sotto il segno dello Spirito ed è proprio questo che ci costituisce come Figli di Dio capaci di gridare: «Abbà, Padre». 

Oggi è la festa dello Spirito Santo e di noi che l’abbiamo ricevuto come garanzia della promessa futura e consolazione nel tempo che attende la realizzazione di questa, nel quale sempre ricordiamo quella parola che per prima ci ha insegnato l’amore: di noi per Gesù, di Gesù per noi, del Padre per tutti
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La festa di pentecoste per gli ebrei era un momento speciale: si ricordava il dono della Legge fatto da Dio sul Monte Sinai. Quel gruppo di schiavi sbandati aveva finalmente un strada che li guidasse a casa nel deserto della loro vita.

Se la Pasqua era una festa di famiglia la Pentecoste, quindi, era festa di popolo e di identità. Ecco perchè quel giorno a Gerusalemme c'era tanta gente che veniva da posti diversi. 

In quel giorno succede qualcosa di straordinario. Tutte queste persone, che hanno lingue differenti e diversissime tra di loro, riescono a comprendere intimamente le parole degli Apostoli.

Già, perchè la Liturgia di oggi questo vuol farci vedere.
Non tanto i discepoli che usano "effetti speciali" per stupirci, ma il fatto che tutti comprendano intimamente quello che dicono, con la lingua che hanno imparato da piccoli e con la quale padre e madre gli manifestavano il loro amore.

Vi faccio un esempio concreto: immaginate di essere in un paese di cui non conoscete la lingua (nel senso che dovete fare una fatica immane anche solo per far capire i vostri bisogni elementari)...poi , all'improvviso, sentite qualcuno che parla in modo a voi familiare.

Che dite: non vi si allarga il cuore dal sollievo? Non vi sentite improvvisamente "a casa"?
E qual è il linguaggio che tutti noi possiamo capire se non il linguaggio del cuore, degli affetti e dei desideri più intimi?

Ecco: io sono intimamente convinta che tutti coloro che erano a Gerusalemme quel giorno, sentendo le parole degli Apostoli, abbiano avuto questa Esperienza.

Cosa fa allora lo Spirito Santo se non aiutarci a fare ed a far fare questa Esperienza di Cristo! Già perchè il rischio che corriamo è proprio quello di fare e di far fare altre esperienze di un altro Cristo: il Cristo della nostra testa, che è emanazione di noi stessi.

Il risultato è una esperienza schiavizzante perchè solo la Verità di Cristo rende liberi.

E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.

Questo scrive San Paolo ai Romani: lo Spirito Santo ci fa chiamare Dio con il suo vero nome che assume nello specifico una connotazione quasi infantile perchè "Abbà" è la forma familiare di "Ab".

Ci insegna a chiamarLo con la stessa fiducia del bambino che, solo perchè ha suo padre accanto, non ha paura di ciò che ha davanti anche se non lo conosce. 

Ci insegna ad essere "bambini in quanto a malizia, ma adulti riguardo ai giudizi" riportando al nostro cuore quello che avevamo dimenticato.

Alla fine di questo Tempo di Pasqua la Chiesa ci indica quindi come e grazie a chi attuare quella missione di essere testimoni di Gesù fino agli estremi confini (fisici e spirituali) della terra.

Una vecchia battuta diceva: "Con 12 apostoli non ci evangelizzi neanche l'Umbria" e basta guardarci intorno per vedere le meraviglie di Dio in questo senso. 

Ora tocca noi prendere il testimone. Con coraggio e con fiducia in Gesù e nella sua Chiesa che Lo conosce da 2000 anni.

Vi abbraccio,






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