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sabato 5 novembre 2016

XXXII Domenica del tempo Ordinario 7 Novembre 2016


«Gesù Cristo è il primogenito dei morti:
a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli.»

(Letture bibliche: 2Mac 7,1-2.9-14; Sal 16; 2Ts 2,16-3,5 ; Lc 20, 27-39)


In queste ultime settimane del Tempo Ordinari la Liturgia ci invita a guardare a quelli che i nostri nonni chiamavano i "Novissimi" ovvero "Morte-Giudizio-Inferno e Paradiso" ovvero alle cose ultime, a quello che ci attende e a come affrontarlo da Figli di Dio.

Questa settimana la Liturgia ci invita a riflettere sulla Resurrezione e il Vangelo ci racconta della diatriba di Gesù con i sadducei. 

I sadducei erano una corrente dell'ebraismo che ritenevano credibile come Parola di Dio solo i primi cinque libri della Bibbia (il cosiddetto "Pentateuco) e, in questi libri, il tema della resurrezione (ovvero della perpetuazione dell'individuo dopo la morte) non viene toccato.
Quindi, semplicemente non ci credevano. 

(N.B. Nella tradizione orale di Israele (e nei libri sapienziali della Bibbia) questo tema invece è molto presente. Infatti i Farisei credevano alla resurrezione dei corpi)

Siccome erano spesso sacerdoti la Scrittura la sapevano a menadito e quindi la usano per fare un trabocchetto a Gesù proponendogli un caso limite basato sulla legge del levirato.

Gesù risponde loro in una maniera che li mette all'angolo: 1) Nella vita eterna c'è la pienezza del rapporto con Dio la quale è molto più grande delle relazioni "umane"  e 2) Dio è il "Dio dei vivi e non dei morti"

E' come se avesse detto ai sadducei: " Cari miei, il Dio in cui dite di credere, quello di Abramo, Isacco e Giacobbe è il Dio della Vita e quindi , per sua natura, deve donare vita e questa vita deve durare per sempre"

E così i sadducei, gli aristocratici, i sacerdoti, i sapienti che pensavano di zittire il rabbi venuto dalla periferia sono sistemati. Tanto è vero che Luca ci informa che:

"Dissero allora alcuni scribi: «Maestro, hai parlato bene». E non osavano più rivolgergli alcuna domanda."

Ieri i sadducei, oggi gli increduli ed i menefreghisti. 
Tutti coloro che dicono: "Dopo la morte c'è il nulla" e che, appena gli parli di eternità, si fanno una grassa risata.

E in quella risata ci sta tutta l'incredulità umana di fronte alla Bellezza: quaggiù tutto è sempre spiegabile, persino il telefonino diventa quasi la prolunga della mano, la frizione come una continuazione del piede e il pensiero un'espressione del desiderio disordinato. Cosicché anche dell'Eterno l'uomo vorrebbe fosse la continuazione dell'effimero: un Dio inspiegabilmente monotono e monocorde.

E non voler capire invece che siamo fatti per altro: che siamo nati per non morire mai e che quindi ogni gesto che compiamo deve avere dentro di sè la logica dell'eternità ovvero la logica di Dio. 

Logica che lo fa incarnare per incontrare, nella carne e nella vita persone come Zaccheo. E con Zaccheo un'infinità di mille altri volti: la Samaritana - pure lei plurimaritata -, Matteo e Tommaso, Saulo/Paolo e Simone/Pietro, Agostino e Francesco, di Edith e Domenico, Ignazio e Giovanni...fino a me.

E questo incontro e la consapevolezza dell'eternità che ci aspetta ci fanno affrontare situazioni al limite della sopportazione. Come quella che ci racconta la Prima lettura in cui 7 fratelli, di fronte alla minaccia di morte dettata da una forma di ideologia che cancella Dio, hanno il coraggio di dire:

È preferibile morire per mano degli uomini, quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati.

E guardate che non c'è solo la morte fisica, c'è anche quella spirituale ed è facile cascarci tanto è vero che San Paolo ci esorta alla speranza.

"Il Signore è fedele: egli vi confermerà e vi custodirà dal Maligno"

Allora ricordiamocene e stiamo sereni. Viviamo la nostra vita da Figli di Dio ORA , fino  alla vita del mondo che verrà per poi continuare a farlo nell'Eternità.
Vi abbraccio,

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