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venerdì 8 luglio 2016

XV Domenica del tempo Ordinario 10 Luglio 2016


«Vi do un comandamento nuovo, dice il Signore: che vi amiate a vicenda, come io ho amato voi»

(Letture bibliche: Dt 30, 10-14; Sal 18; Col 1, 15-20; Lc 10, 25-37)


Per Israele Dio è l’Assolutamente-Altro, irraggiungibile dall’uomo. 
L’unica via di salvezza è la fedeltà all’alleanza: Dio salverà gratuitamente coloro che attendono tutto da lui e che osservano fedelmente la sua legge. Questo ci presenta la prima lettura di questa domenica. 

Ma è possibile all’uomo una fedeltà assoluta, una risposta totale che lo leghi a Dio, data la sua condizione di creatura, per di più peccatrice? La speranza di vedere superata tale contraddizione è per Israele l’arrivo del Messia.

Gesù di Nazareth si presenta come l’imitatore perfetto del Padre. Paolo, nella seconda lettura, dice di lui che è l’immagine del Padre. Ma nello stesso tempo Gesù è anche immagine dell’uomo; egli è l’Uomo-Dio, il Verbo incarnato che riunisce in sé i due termini di paradosso: essere nel vero senso della parola l’immagine del Padre ed essere fedele integralmente alla condizione terrestre di creatura. 

Gesù-uomo porterà alla perfezione l’immagine del Padre nel sacrificio della croce: là rivelerà il vero volto del duplice amore verso Dio e verso gli uomini dal quale scaturisce la storia della salvezza. Per l’uomo l’imitazione del Padre ora passa attraverso Cristo; una configurazione a lui vissuta negli avvenimenti, negli incontri della vita quotidiana. 

Il sacrificio di sé, il pagare di persona, l’amore gratuito ed universale per il prossimo, fa risplendere sul volto del cristiano il volto di Cristo e di Dio.
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Lo abbiamo detto cento volte: Dio è Relazione e ci ha creato per relazionarci con Lui.
Questa dimensione dell'esistenza nell'ottica di Dio è donazione totale e non è ovviamente un caso che, se manca la relazione con Do, il primo che ne risente è il nostro rapporto con gli altri. 

Basta leggere le cronache di questi giorni per comprendere che, se l'Altro non viene visto prima di tutto come immagine del Dio Invisibile, può diventare oggetto di possesso e capro espiatorio di tutte le nostre frustrazioni.


"Non è troppo alta per te, né troppo lontano da te. Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore"

Così ci proclama la prima lettura. Gesù è parola vivente del Padre.

La Liturgia di oggi ribadisce con forza questa verità.
Chi si dichiara ateo, o non credente, sappia quindi che, quando ama di amore disinteressato o quando riconosce questo amore negli altri, questo amore viene da Dio.
E' consolante saperlo...perchè tutto prende una dimensione di eternità che l'uomo da solo non può darsi, ma che gli viene da un Incontro.

La Liturgia di oggi però smentisce sopratutto i bigotti di tutte le epoche.
Quelli che sanno tutta la Legge, vanno a Messa tutte le domeniche, ma poi con il loro prossimo hanno tutt'altro atteggiamento.

Gesù combatte questo atteggiamento ipocrita che propone domande "per metterlo alla prova magari chiamandolo pure Maestro. 


"Cosa devo fare per ereditare la vita eterna?

Come se la vita eterna fosse un insieme di "cose da fare" e l'eredità fosse sottoposta a chissà quali obblighi per poterne usufruire.

Eppure già la Legge di Mosè aveva detto che il centro di tutto era: 
Ama Dio con tutto te stesso e ama il prossimo allo stesso modo.

Ma si sa, noi siamo sempre pronti a creare muri di separazione per cui c'è sempre qualcuno che è più prossimo degli altri. 
A questa tentazione satanica ( "Satan" vuol dire proprio "colui che separa) Gesù risponde con la parabola del Buon samaritano, una parabola così famosa che si rischia di prenderla sottogamba, tanto "la si conosce".

Innanzitutto ricordiamoci che i samaritani erano considerati alla stregua dei pagani e le scorse settimane li abbiamo visti sbattere la porta in faccia a Gesù perchè "si stava recando a Gerusalemme".
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Nonostante questo è il Samaritano che ferma a soccorrere l'uomo morente sul ciglio della strada. Non gli chiede la carta d'identità, non gli fa domande sul perchè e sul percome è finito lì. Semplicemente ne ha compassione.

Tante volte abbiamo incontrato questo verbo (che è il verbo della misericordia) che indica quasi la sensazione fisica del pugno allo stomaco che sentiamo quando facciamo esperienza del male nel mondo.

Facciamo un esempio concreto: ricordate la foto di Aylan,il bambino morto sulle spiagge della Turchia? L'avete vista? Che cosa avete provato?
Chi ha visto quel bambino di persona ha fatto quel che poteva. 

Il sacerdote e il levita che passano oltre pensano che non sia affare loro o forse pensano prima alle norme della legge che vietavano di toccare i morti. Ma quell'uomo non era morto. Anche questa è una giustificazione: non ci prendiamo carico di qualcuno perchè "tanto non ne vale la pena"..

A tutto questo risponde Gesù con questa parabola. 

Vi invito a prendervi del tempo,  contemplare questa scena facendo attenzione ai verbi:

Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. 

La Tradizione ha identificato l' albergo con la Chiesa, con la comunità dei credenti,
Se ci fate caso questa immagine con è poi così lontana dall "ospedale da campo" di cui parla Papa Francesco ed è una immagine consolante: non siamo noi a salvare gli altri...ci facciamo aiutare.

Allo stesso modo il samaritano è immagine di Cristo stesso. Di quel Dio che spesso consideriamo straniero, inavvicinabile, con cui spesso abbiamo conti in sospeso.

Ricordiamocene quando ci sentiremo sul ciglio della strada, feriti dalla vita, incapaci di andare avanti.
Vi abbraccio,

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