Categorie

sabato 18 novembre 2017

XXXIII Domenica del tempo ordinario


«Rimanete in me e io in voi, dice il Signore,
chi rimane in me porta molto frutto»

(Letture bibliche:Pr 31,10-13.19-20.30-31; Sal 127;1Ts 5,1-6; Mt 25, 14-30)



Certo che non si ci può fidare più di nessuno. La settimana scorsa abbiamo scoperto che Dio non è buonista...oggi che è pure un capitalista della peggiore specie! 

A parte gli scherzi, le letture di oggi ci presentano una profonda verità:
innanzitutto niente è veramente nostroOgni nostro talento è un dono che viene dall'Alto. Attenzione, questo non ci deve intristire, anzi!
Non ci deve intristire prima di tutto perchè, essendo un dono, è segno che siamo persone amate e amate veramente. Infatti qual è il dono che gradiamo di più? Quello che riceviamo sapendo che, chi ce lo ha fatto, ha "perso tempo" per trovare quello che più si addiceva a noi.

Allo stesso modo ognuno di noi ha un talento speciale, qualcosa che sa fare in quel modo (e bene) solo lui. Non solo: abbiamo un dono speciale che ci è stato fatto il giorno del nostro Battesimo. Siamo figli di Dio.
E questo spiega la parabola di Gesù del Vangelo di oggi: i talenti vanno fatti fruttare perchè sono doni di Dio e vanno usati secondo la Sua logica. Che è appunto quella dell'essere donati continuamente.
Attenzione: a Dio non importa quanto si ottiene, l'importante è proprio questo "movimento" e la sollecitudine nel farlo (quel "subito" che si legge nel testo assomiglia tanto alla "fretta" di Maria che va dalla cugina Elisabetta).

Ricordiamocelo questo (me per prima) quando ci facciamo in quattro per un qualsiasi progetto e poi siamo siamo sempre gli stessi...

Importante è quindi anche l'atteggiamento.
Se c'è una cosa che Dio non "sopporta" (e Gesù di conseguenza) è il giustificarsi o, peggio ancora, il nascondersi dietro una immagine di Lui che non esiste.

"Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”

Buona questa: qualcuno ti fa un dono e tu gli dici che "è una persona dura"?
Ci credo che il padrone della parabola poi gli risponda come si merita.

Ognuno, alla fine, incontra il Dio che si rappresenta. Il Dio che ama. O di cui ha paura. Se si ostina nel credere in un Dio duro e severo, incontrerà un Dio duro e severo, perché il suo cuore gli impedisce di andare oltre al suo pregiudizio distruttivo e cupo.
Sappiamo bene che corriamo continuamente il rischio di gettare sul volto di Dio una maschera, di proiettare su di lui le nostre paure, le nostre ansie, i nostri demoni.

Gesù, comunque sia, ci tiene a farci sapere che non possiamo piacere a Dio e condividere la gioia di far fruttare i talenti del padrone se dimoriamo nella paura.

Possiamo rovinarci la vita a causa della paura. Anche la vita di fede.

Paura di sbagliare, di essere giudicati. Ci sentiamo incapaci di fare qualcosa. A volte questa paura ci viene instillata sin da piccoli, è figlia della nostra disistima, non sappiamo valutare correttamente cosa siamo e quanto valiamo. Altre volte sono le vicende della vita che ci asfaltano, ci rendono sospettosi, prudenti fino alla paralisi.
Anche rispetto a Dio possiamo avere un'idea sbagliata di lui e di noi: egli è colui che ci giudica, che ci definisce, che ci pesa. Dio è buono e bravo, certo, ma sempre pronto a sottolineare cosa in me non funziona. 
Perciò non osiamo spendere la vita per lui: non ne vale la pena, non si accontenterà mai o, peggio, sono io ad essere sbagliato.
Invece Dio si fida talmente di te da affidarti tutto se stesso.

Con la consapevolezza di questa fiducia possiamo lavorare senza temere "la notte" (anche e sopratutto quella spirituale) perchè, come dice San Paolo ai Tessalonicesi:

noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. 

Vi abbraccio forte

Nessun commento:

Posta un commento