L'articolo di oggi è stato scritto da Paolo Magrì..Una grazie di cuore.
Per chi come me era ancora bambino quando è uscito “Il Re
Leone” non può fare a meno di ricordarlo come una delle cose più grandiose
viste. Oltre ai classici animali parlanti in piena impronta Disney c’è grande
animazione, grandi musiche e, soprattutto, temi trattati non tanto con
filosofia, quanto con saggezza popolare e senso per il culto.
Nel 1997 si realizza anche un musical con canzoni aggiuntive rispetto alla versione animata. Una
di queste riprende il discorso fatto da Mufasa a Simba poco prima di morire.
La canzone è in inglese (nel musical si ripete due volte in due versioni simili, la seconda
delle quali sarà poi riportata nel sequel
del Re Leone, con il titolo italiano “Lui vive in te”), scritta da Elton John e
Tim Rice.
They live in you
Ingonyama nengw' enamabala
Night and
the spirit of life calling
Mamela
And a
voice with the fear of a child asking
Oh mamela
Mamela, mamela yo, hela
Wait
There's
no mountain too great
Hear
these words and have faith
Oh have
faith
Hela hey mamela
Hela hey mamela
They
live in you, they live in me
They're
watching over everything we see
In every
creature, in every star
In your reflection. They live in you
Ingonyama nengw'
enamabala
Prima che qualcuno mi linci o mi scomunichi, mi pongo la
domanda da solo: cosa c’entra il Re Leone con la commemorazione dei defunti?
Per prima cosa la morte (un tema che la Disney non si
risparmia di proporci #melapaghereteperlamammadibambiprimaopoi) è uno dei
motori del film, senza il quale non ci sarebbe sviluppo di trama; in secondo
luogo l’intero lungometraggio è percorso da perle di saggezza popolare africana
(Zulu, Swahili, Masai ecc.) che rendono più viva e reale il racconto. Il culto
dei morti è una pratica dalle radici profonde e diverse da cultura a cultura e
secondo le varie credenze e culti.
Ma veniamo al nostro punto: facciamo una composizione di
luogo, immaginiamoci proprio la scena del film in cui Mufasa riaccompagna il
figlio a casa dopo averlo salvato nel “cimitero degli elefanti”.
[Parte da “critico cinematografico mancato pomposo e
frustrato” mode on]
Alle tante virtù legate agli elefanti c’è la memoria: la
proverbiale memoria d’elefante è quella che non dimentica nulla per molto molto
tempo. La gitarella fuori porta di Simba potrebbe simboleggiare il desiderio di
indipendenza del figlio che “dimentica” chi è e chi è destinato a diventare,
per procedere secondo i propri interessi egoistici. Interviene il padre, le
radici del figlio, che riportano il disperso al sicuro, al suo posto.
[Parte da “critico cinematografico mancato pomposo e
frustrato” mode off]
Ma è proprio la memoria che ci aiuta in una giornata come
questa: commemorazione, infatti, vuol dire “ricordare insieme”.
La canzone inizia, infatti, con Mufasa che presta la voce
a un immaginario scambio di battute tra lo “spirito della vita” che chiama e
una voce impaurita che risponde, e sia la richiesta che la risposta è la
stessa: «Mamela/Ricorda» (in lingua zulu perché fa più figo). «Ora ascolta e abbi fede» – continua – «Loro vivono in te,
vivono in me, stanno vegliando su ogni cosa che vediamo, sono (o piuttosto
vivono) in ogni creatura, in ogni stella, nel tuo riflesso, loro vivono in te».
Personalmente
mi è sempre piaciuto questo paragone che si fa ne “Il re Leone” dei defunti che
vegliano dall’alto: materialmente serve a non farci sentire soli quando ci
manca una persona a noi cara, perché possiamo in qualche modo vederla o
immaginarla; spiritualmente ci aiuta a capire che non solo c’è qualcosa dopo la
vita, ma abbiamo un ruolo importante da svolgere anche dopo la morte.
Il
ricordo dei nostri cari rivive in tutto, nel cielo e nella terra, nelle cose
materiali e in quelle spirituali, persino in noi (nel nostro riflesso), perché
la nostra crescita è frutto dei rapporti stretti con le persone. Questo legame
è indissolubile nella memoria e nella preghiera perché, anche se abbiamo
allettanti (e inutili nonchè pericolosi) varianti di comunicazione extradimensionale come i medium o le tavole ouija, non dimentichiamoci che siamo Chiesa, e la Chiesa comunica
con la preghiera.
E nel giorno della commemorazione (ma anche in tante altre
occasioni) alla preghiera si affianca il sacramento dell’Eucarestia: nella
Comunione, infatti, tutti siamo presenti, vivi e morti per festeggiare insieme,
chi pregando, chi attendendo, chi sperando, chi soffrendo, per quell’unico
grande scopo che è la salvezza, la santità, la gioia e la vita eterna.
In
tutto questo, comunque, è bello – come ci invita sempre a fare Gesù – vivere
con il cuore di un bambino, che guarda il cielo, e pensa che i suoi cari vivano
tutt’intorno a lui, per proteggerlo e condurlo in maniera sicura alla sua
strada, a ciò che è chiamato a diventare: un re per Simba, un Santo per noi.
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