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venerdì 21 ottobre 2016

XXX Domenica del tempo Ordinario 23 Ottobre 2016


«Dio ha riconciliato a sé il mondo in Cristo,
affidando a noi la parola della riconciliazione. »

(Letture bibliche:Sir 35,15-17.20-22; Sal 33; 2Tm 4,6-8.16-18; Lc 18, 9-14)


La Liturgia di oggi ci costringe ad affrontare le nostre più intime contraddizioni, le nostre ipocrisie più radicate. tanto radicate che non ci accorgiamo neppure della loro esistenza.


Nel Vangelo di oggi Gesù racconta una storia. La storia di un fariseo e di un pubblicano al Tempio. Entrambi pregano. Entrano cioè in dialogo, in intimità con Dio. O almeno così dovrebbe essere.

Solo che il fariseo è talmente pieno della sua nuova e scintillante identità spirituale, talmente consapevole della sua bravura, talmente riempito del suo ego (quello spirituale, il più difficile da superare), che Dio non sa proprio dove mettersi. 

Peggio: invece di confrontarsi con il progetto che Dio ha su di lui, come lo ha su ciascuno di noi, il fariseo si confronta con chi a suo parere fa peggio.



Un poeta inglese di nome Coleridge diceva che "il peccato prediletto del demonio è l'orgoglio che scimmiotta l'umiltà" e questo in effetti è alla radice di ogni demerito e sfregio di tutte le virtù.

Che ci serva di lezione: quando iniziamo a fare confronti e paragoni con la vita spirituale degli altri stiamo già sbagliando strada. E' sul progetto che Dio ha per noi che ci dobbiamo confrontare, non sui comportamenti e le (presunte) motivazioni di chi ci sta intorno.

Stiamo attenti perchè "non saremo giustificati" ovvero "non verremo perdonati".
Ma come: Dio non perdona tutti? Dio perdona chi sente di dover essere perdonato e lo chiede perchè sa che verrà accolto. Se ti credi giusto o più giusto di qualcun altro...

D'altronde Gesù lo ha detto: "Con la stessa misura con cui giudicate sarete giudicati!"

Il fariseo ha giudicato il cuore del pubblicano? Sì. E quindi ha ricevuto la sua ricompensa.

Già, il pubblicano... Lui che preghiera rivolge al Signore?

“O Dio, abbi pietà di me peccatore”

C'è una tenerezza di fondo in questa frase che si comprende a fondo solo leggendo il testo originale. Il verbo greco  utilizzato "ἱλάσκομαι" vuol dire: essere benevoli, amichevoli.

E' la stessa benevolenza di cui si parla nella prima lettura in cui si dice che la preghiera del povero, la preghiera di chi sa di non poter umanamente far nulla, "supera le nubi" e arriva fino a Dio Padre il cui volto, la cui presenza, non è con chi compie il male e se ne vanta.

E' come se questo pubblicano dicesse: "Signore, anche se mi vergogno di stare alla tua presenza io so che tu mi vuoi bene e che non vedi l'ora di perdonarmi"

La preghiera parte dalla fede. E come vedete di fede questo pubblicano ne aveva tanta. E aveva fede non in un Dio che si compiace del rispetto delle regole, ma in un Dio che ama le sue creature di un amore creativo e rigenerante. 

E noi? Abbiamo fede? E in quale Dio crediamo? E quando preghiamo Dio c'è o c'è solo il riflesso del nostro ego? Chiediamocelo...penso che ci farà bene.

Aiutiamoci quindi l'un l'altro a guardare verso il Volto del Padre e verso il progetto che ha per noi perchè possiamo dire con san Paolo, alla fine della nostra vita

Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede.

Vi abbraccio forte,


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