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venerdì 7 ottobre 2016

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario 9 Ottobre 2016


«In ogni cosa rendete grazie: 
questa infatti è volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi »

(Letture bibliche: 2Re 5,14-17 ; Sal 97; 2Tm 2,8-13; Lc 17,11-19)


La Liturgia di oggi riprende e completa quella della settimana scorsa.
Se la Fede è prima di tutto un dono di un Dio che si fa Presenza e con il quale possiamo e dobbiamo dialogare, allora la nostra prima risposta deve essere quella di saper e voler ringraziare.


Il Vangelo di oggi racconta di una guarigione: ci sono 10 lebbrosi che vanno a chiedere a Gesù la guarigione. La lebbra (lo abbiamo detto altre volte) era una malattia che aveva delle conseguenze sociali. Chi ne era affetto era costretto all'isolamento. Una prospettiva peggiore della morte fisica.  L'unica possibilità che avevano di sopravvivere era quella di vivere assieme e dividersi le elemosine (un pò come si vede ne "la Città della gioia)

Insieme vivono e insieme si muovono. E vanno da Gesù chiedendogli da lontano di avere pietà di loro. E Gesù chiede loro un atto di fiducia. Chiede loro di comportarsi come se fossero già guariti. Infatti nella Legge si diceva chiaramente che chi guariva dalla lebbra doveva recarsi dal sacerdote il quale garantiva la veridicità del fatto. Insomma era una sorta di formalità.

Loro vanno ed effettivamente mentre camminano, si accorgono di essere guariti. A questo punto succede una cosa curiosa. Nove di loro continuano tirano dritto. Uno di loro, il samaritano (l'eretico) invece torna indietro a ringraziare Gesù. Il quale si sorprende (ma fino ad un certo punto) di trovarlo da solo.

Verrebbe da dire: "Ma gli altri stavano facendo quello che Gesù aveva detto di fare loro".
In un certo senso è vero, ma quello che ci vuole dire Gesù è una'altra cosa.
Per lui l'importante, la cosa fondamentale è "rendere gloria a Dio". 
Andare dal sacerdote, lo abbiamo detto, è una formalità. 
Un modo per farli muovere perchè questo fa la fede in Dio. Ci mette in movimento.

Se ci muoviamo deve essere in una direzione chiara. E questa direzione è Dio stesso.
Dio vuole stare con noi. Lo desidera con tutto il suo Cuore.

Guardate che questo ci riguarda da vicino: Eucarestia vuol dire: "rendimento di grazie"

Tutta la Liturgia ruota intorno a questo. Noi ringraziamo Gesù che si fa presente e lui ci "ringrazia" donandoci se stesso.

Se andiamo a Messa per espletare una formalità, allora facciamo come quei nove lebbrosi che non si sono più fatti vedere!
Attenzione, noi siamo bravissimi ad essere formali quando ci conviene e a considerare formalità (ovvero sciocchezze) quello che più ci disturba.

Tutto questo per non dire una parola semplice che è GRAZIE.
Logico: dirlo vuol dire ammettere di essere bisognosi di aiuto. Peggio ancora se qualcuno lo fa senza chiedere nulla in cambio. Parliamoci chiaro: noi debiti non ne vogliamo avere.

Il Samaritano appunto ammette la gratuità del dono di Dio, la sua immeritata ricompensa, la sua piccolezza davanti all'immensità di Dio, per cui per lui il dire grazie è un atto di umiltà.


L'ingratitudine è propria di chi, ottenuto finalmente il beneficio, pensa solamente a goderne e a trastullarsi, noncurante di essere stato gratificato. Ingratitudine è distrarsi dal prossimo che ci ha appena aiutati per concentrarsi solo su stessi. 

Lo capisce il pagano Naaman, guarito grazie all'intercessione del profeta Eliseo, il quale decide di portarsi a casa un "pezzetto di Israele" perchè comprende che il Signore ha santificato quella terra con sua presenza. Lo capisce il Samaritano che torna da Gesù a ringraziarLo.

Ora tocca a noi comprenderlo e viverlo con la certezza di San Paolo che dice:

"se siamo infedeli, lui rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso"

Se noi rifiutiamo la sua presenza, Lui non si stanca di cercarci. Ricordiamocelo a vicenda.
Vi abbraccio,

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