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venerdì 9 settembre 2016

XXIV Domenica del tempo Ordinario 11 settembre 2016


«Dio ha riconciliato a sé il mondo in Cristo, affidando a noi la parola della riconciliazione»

(Letture bibliche:Es 32, 7-11.13-14; Sal 50; 1Tm 1, 12-17; Lc 15, 1-32)


L’amore di Dio verso gli uomini è così gratuito che non possiamo pretendere di averne diritto: è talmente assoluto che non possiamo mai dire che ci venga a mancare. 
L’amore umano, al contrario, è così limitato e chiuso dal nostro egoismo, si spinge così raramente oltre la stretta giustizia o fuori della severità moraleggiante, che noi immaginiamo facilmente un Dio vendicatore e una religione basata sul timore. 

Gli ebrei usavano il termine hesed per indicare l’amore misericordioso di Dio verso il suo popolo: benevolenza, solidarietà, amore vicendevole che deve esistere tra i membri della famiglia umana, disposti ad aiutarsi tra di loro con amore e generosità. Anche la corrispondenza del popolo all’ amore di Dio, che non abbonda ma pur esiste, viene identificato con il termine hesed che in questo caso significa riconoscenza, amore filiale, fedeltà.

Per questa bontà misericordiosa il popolo, anche peccatore ed infedele, potrà sempre sperare nell’aiuto divino. Cristo ci ha rivelato un Dio come lo vorremmo. 

Un Dio che è amore e misericordia. 

È una persona che stenta a trovare posto nella nostra società, la quale proprio per questo ne ha un bisogno vitale. Apparentemente non serve, non è utile, non frutta: però ci dà tutto, ci dà ciò che nessuna analisi scientifica, nessun progresso tecnologico e neppure lo sviluppo delle scienze umane potrà mai dirci: sentirci amare singolarmente, uno per uno, in modo assoluto.

Quando ci accorgiamo che Dio ci ama così, allora sentiamo che lo stare lontano da lui e dagli altri per altre ragioni umane è perdere tempo, è perdere Dio. 
Nasce spontaneo allora il bisogno di chiedere perdono. 
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C'è un detto che dice: "Dimmi con chi pratichi e ti dirò chi sei" ed evidentemente era questo che avevano in mente scribi e farisei quando vedevano Gesù mangiare con i pubblicani ed i pubblici peccatori. Gesù le orecchie ce le ha e non rimane passivo.
Decide di rispondere in maniera costruttiva come lui ci ha abituato, spero, a fare.

Spiega quindi il perchè delle sue azioni e lo fa, anche qui, in maniera creativa perchè chi lo ascolta (e quindi anche noi) possiamo far funzionare il cuore e la memoria ed essere veramente partecipi e poter quindi prendere una decisione.

Al centro delle parabole di Gesù ci stanno due parole: perduto e ritrovato.
Se perdiamo qualcosa che ci sta a cuore la cerchiamo giusto? A costo di perdere tempo, di fare fatica, di chiedere aiuto magari, ma alla quella che rimane è la gioia quando la ritroviamo.

Beh, per Gesù (che è vero Figlio del Padre) l'oggetto della sua fatica e della sua gioia sono gli ultimi...quelli da cui tutti stanno lontani come se il peccato fosse una malattia contagiosa quando invece, in definitiva, è il sintomo della paura più grande: quella di riconoscersi uguali a loro e quindi, anche loro, condannati senza speranza.

La Liturgia di oggi invece ci invita a vedere la passione smisurata di Dio verso l'umanità intera e sopratutto, verso noi stessi. Dio ha fiducia che le 99 pecore stiano nel recinto, mentre va a cercare quell'unica che si è persa e cerca questa con tutte le sue forze.

Decide persino di farsi uomo per raggiungere il suo scopo.

L'insegnamento della Liturgia di oggi è quindi duplice: da un lato che il desiderio del Padre è talmente forte che va oltre il più terribile tradimento (e la Prima Lettura ce lo proclama) e dall'altra che è la consapevolezza di essere oggetto di un amore così che ti dona la forza, il desiderio, la fede che ti serve per esserne un testimone credibile.

San Paolo ce lo dice con una gratitudine che si percepisce e che ci smuove alla tenerezza:

"rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento....perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna"

E storie come quella di Paolo non sono eccezioni, sono la norma!
Pensiamo a figure come Agostino (disordinato con se stesso e con gli altri) o come Camillo de Lellis (il quale passava la vita da soldato di ventura) o a storie più recenti come quella, bellissima, del Servo di Dio Jacques Fesch.

Tutti con la stessa consapevolezza di essere stati cercati e trovati non per la punizione, ma per il perdono e la felicità.

E' tentazione satanica (e peccato contro lo Spirito Santo) quindi sia disperare dell'amore di Dio sia  pensare di non averne bisogno.Il peccato che conduce alla morte non è quello di perdersi, ma quello di non farsi trovare perchè "la parola della riconciliazione" che ci è stata affidata è, prima di tutto,la nostra stessa vita.
Vi abbraccio,

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