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venerdì 3 giugno 2016

X Domenica del Tempo Ordinario 5 Giugno 2016


«Un grande profeta è sorto tra noi, e Dio ha visitato il suo popolo.»

(Letture bibliche: 1Re 17, 17-24; Sal 29 Gal 1, 11-19; Lc 7, 11-17)



Dopo le grandi solennità che ci hanno accompagnato in queste ultime domeniche, la Chiesa ci invita a far ritorno nel tempo ordinario. Ci sembra di aver lasciato tempi e luoghi privilegiati nei quali accadevano fatti sorprendenti e per i quali la comunità dei cristiani doveva far festa. 

La liturgia di oggi, invece, ci mostra come lo straordinario abita anche nella quotidianità, nella routine del tempo, e ce lo fa gustare presentandoci tre eventi che stravolgono la vita. 

La prima lettura, tratta dal primo libro dei Re, insieme al Vangelo di Luca, ci offrono due segni importanti, fondamentali per la nostra fede: la risurrezione dei figli di due donne, vedove. 
Le due letture sono affini e differenti insieme.

La donna di Zerepta, che sa di avere ospitato Elia, un uomo di Dio, pensa che Dio sia entrato in casa sua per castigarla delle sue iniquità (v. 18). Non sapeva che Dio non è un dio di morte, ma di vita, come sperimenterà nel ritorno all’esistenza di suo figlio. 
La vedova di Nain invece, piange sul figlio morto e proprio per il suo dolore Gesù stesso, il Signore, le si fa prossimo, offrendole in dono la risurrezione del suo piccolo.
Entrambe sono segno della vittoria sulla morte, che Cristo ha instaurato per sempre sul trono della croce. 

La morte non ha l’ultima parola.

La salvezza definitiva della vita è la risurrezione del Signore. 

La seconda lettura, tratta dalla lettera di Paolo ai Gàlati, ci parla anche di una risurrezione, che non riguarda un corpo morto ma l’esistenza stessa del mittente. 
Paolo è colui che rinnega la vita e la contrasta, facendo vittime tra i cristiani che perseguitava fino alla morte. 
Paolo ha la morte nel cuore e proprio per questo il Signore si fa incontro per lui, restituendogli una vita nuova che inneggia alla vita, quella vera. Gesù Cristo si è rivelato a lui per servirsene come mezzo di conversione tra le genti. Paolo parte senza pensarci un attimo. 

Da persecutore diventa apostolo del Signore. E anche noi oggi, come Paolo e le due vedove incontrate lungo la narrazione, veniamo invitati ad una conversione del cuore, ad una costante risurrezione della nostra vita, che ci fa testimoni della nostra salvezza (già ora!) nella persona di Gesù.    
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Se leggiamo distrattamente le prime righe del Vangelo di oggi rischiamo di cadere in depressione. Rischiamo, forse, di essere le persone che seguivano quel corteo funebre.Mi pare quasi di sentirli: "Poveretta, prima il marito e poi il figlio."

Frasi di circostanza misti a commenti, più o meno richiesti, un pò come quelle frasi che diciamo davanti alla televisione dell'inondazione in Birmania o del terremoto ad Haiti. E magari siamo pure capaci di dire che Dio non c'è. 
Ed è vero: in queste considerazioni Dio non c'è!

Ora guardiamo Gesù. Di Lui si dice che, vedendo questa donna così provata dalla vita, "fu preso da grande compassione per lei" e il verbo greco che viene utilizzato richiama "le viscere"! Questo è perchè Gesù ama con un cuore di carne: prova sofferenza nella parte più fisica di sè. 
Come già profetizzava Osea

"Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. 

Noi proviamo a sopravvivere in questa valle di lacrime con il vittimismo o il cinismo. Gesù invece dona la vita prima di tutto con il partecipare intimamente al dolore di questa donna. Nessun segnale ci dice che quella donna fosse più religiosa di altri. Ciò che fa breccia nel cuore di Gesù è il suo dolore, quello stesso dolore da cui noi spesso scappiamo a gambe levate.

Lui no: lui vede, si ferma, tocca la bara (gesto ben poco spontaneo). E' in questo contesto che quella parola, quel "non piangere" assume credibilità e la assume perchè non è un sentimento: è una decisione. 
E' la decisione, prima di tutto, di fermarsi, inginocchiarsi e guardare da vicino. Guardare gli altri a millimetro di viso, di occhi, di voce, come bambini o come innamorati. 

Si accosta, tocca, parla: Ragazzo dico a te, alzati
Con lo stesso verbo usato per la risurrezione.ùì

E questo perchè la vita di Cristo e che Cristo dona è prima di tutto rapporto personale, compassione e misericordia. Questa è la vita vera, quella che vince anche quando il dolore sembra sfondare il cuore e sappiamo che niente sarà più come prima. Anche quando tentiamo di soffocarla sotto metri e metri di "umana sapienza" che, alla fine, banalizza ed annulla le relazioni più profonde.

San Paolo lo sapeva bene e lo dice ai Galati:
"il Vangelo da me annunciato non segue un modello umano"

Anche noi come Paolo siamo chiamati a fare esperienza e ad annunciare questa vita. Siamo chiamati adoperare "miracoli" prima di tutto quello di sostare accanto a chi soffre, accanto alle infinite croci del mondo, lasciandosi ferire da ogni ferita, portando il conforto umanissimo e divino della compassione.
Avete capito bene: umanissimo e divino.

Ricordiamocene, ricordiamocelo e aiutiamoci gli uni gli altri a farne esperienza. E il Signore ci visiterà e visiterà attraverso di noi chi avremo accanto.
Vi abbraccio.


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