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martedì 9 febbraio 2016

Rosso come il cielo ovvero "la disabilità è opportunità"




Siamo nel 1971 in Toscana.
Mirco è un bambino di 10 anni come tanti. Gli piace giocare con gli amici e andare al cinema. Ha due genitori che sono presenti e che gli vogliono un mondo di bene. Insomma è un bambino felice,

Un giorno però, a causa di un incidente domestico perde la vista e la sua vita cambia.

Costretto a lasciare la scuola, si trasferisce a Genova in un collegio per non vedenti.
Fa fatica ad ambientarsi. Il collegio è un posto chiuso (anche mentalmente), con delle regole talmente rigide da rasentare il ridicolo e Mirco reagisce facendo a botte con il bullo della classe (quello non manca mai) e isolandosi sempre di più.

Sarà il suo maestro a capire il suo disagio ed a spingerlo a trovare nuovi linguaggi per esprimersi. Sarà così che Mirco scoprirà il suo incredibile talento con i suoni e, registratore Geloso alla mano, inizierà il suo viaggio verso l'autonomia.




“Rosso come il cielo” è un film italiano del 2005 diretto da Cristiano Bortone che prende spunto dalla storia di Mirco Mencacci il quale, dopo aver perso la vista a 4 anni, diventerà un famoso tecnico del suono.

Bisogna fare una piccola premessa: fino al 1975 in Italia esistevano scuole speciali per i portatori di handicap nelle quali si insegnava loro un mestiere e gli si permetteva di finire gli studi.

Questo da un lato era sicuramente una cosa positiva (anche perché, in una società in cui l’alfabetizzazione era molto bassa anche per i normodotati, chi aveva qualche handicap era tagliato fuori in partenza), ma, come contropartita, li si relegava a ruoli stereotipati
(Es. i non vedenti avevano un futuro da impagliatori di sedie o centralinisti.. e STOP) e li si rinchiudeva per anni in quello che era, in definitiva, un mondo a parte.

Insomma il mondo in cui entra a far parte Mirco è un mondo che fa di tutto per ricordargli il suo handicap. Non ci si stupisce quindi che la sua prima reazione sia il rifiuto netto di imparare il Braille (che, paradossalmente, è uno strumento che gli permette di leggere e scrivere come faceva prima)

Il suo maestro però gli dice: “Hai cinque sensi, perché ne vuoi usare solo uno?”. Poi scopre il registratore a bobina, inizia a registrare i suoni, li analizza, li scompone e trova il suo linguaggio e lo insegna ai suoi compagni.

Ora in Italia le scuole speciali non esistono più e i bambini portatori di handicap, con i maestri di sostegno, frequentano le stesse scuole dei normodotati e questo proprio per il principio enunciato nel film: non si deve partire da cosa non puoi fare, ma da ciò che puoi imparare e svilupparlo sempre di più. 

Il punto di partenza non è l'handicap, ma la creatività per superarlo.

Che sia un problema di impostazione mentale lo fa vedere il personaggio più "negativo" del film ovvero il preside che, cieco anch'esso, dice una frase pesantissima: 

"la libertà è un lusso che un cieco non si può più permettere"

Vi faccio una piccola provocazione: se cambiassimo la parola "cieco" con "introverso" o "timido" o qualsiasi altro difetto che sappiamo di avere e che sentiamo che ci blocca...accetteremmo una affermazione del genere su noi stessi? Accetteremmo di venire educati in maniera tale che la nostra vita ne sia segnata per sempre? 

E' questo un film che fa interrogare sul concetto di "normalità", sull'importanza dell'empatia e della creatività.

Insomma un film da recuperare.






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